Un consumo ittico responsabile

di | 6 Novembre 2017

L’impegno per la protezione dell’ambiente parte anche dalle nostre tavole. Oggi vogliamo approfondire la sostenibilità del consumo ittico, ovvero la presenza dei nostri piatti delle varie specie di pesci, molluschi e crostacei, parte importante della nostra alimentazione. Uno dei problemi più pressanti dei nostri mari, direttamente correlato con l’inquinamento delle acque e con l’uso di tecniche di pesca vietate dalla legge, è la preservazione della biodiversità.

Per il consumatore è dunque fondamentale sapere quali specie può acquistare, la loro provenienza e in che modo sono arrivate nei punti vendita. Ad esempio, un pesce comune nel Mediterraneo come la triglia arriva sul mercato seguendo tre modalità principali: la pesca artigianale, con un impatto basso o comunque accettabile, la pesca a strascico, metodo che devasta i fondali e miete numerose vittime tra le altre specie, oppure la pesca nelle zone tropicali, dove i controlli sono pressoché inesistenti ed è sufficiente falsificare il marchio “pescato nel Mediterraneo” per farlo arrivare senza problemi in Europa.

Oltre ai dati sulle tecniche di pesca, per un consumo responsabile bisognerebbe anche sapere l’impatto in termini di emissioni, ma anche di giustizia sociale, di ogni singola filiera che dal mare porta al piatto: procurarsi questo tipo di informazioni è però quasi sempre difficile, se non impossibile. I parametri sono poi diversi a seconda che si tratti di pesca in mare aperto o di acquacoltura.

In Italia, ad esempio, si possono annoverare tra le specie di cui sarebbe bene eliminare del tutto o limitare il consumo il tonno a pinna gialla ed il tonno rosso, i cui stock sono in gravi condizioni, soprattutto nel Mediterraneo, il pesce spada, spesso catturati con reti a strascico, ed anche il merluzzo atlantico, prodotto di importazione ottenuto da stock prossimi al collasso.

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